PRIME NOTE SULL’ESPERIBILITÀ DI “AZIONE ESECUTIVA”

DA PARTE DEL PROCURATORE REGIONALE

E INNANZI AL GIUDICE CONTABILE

di Sergio Auriemma

Vice Procuratore generale della Corte dei conti

 

1. - La problematica interpretativa e l’elemento testuale. Il comma 174 della legge n. 266/2005 ha potenziato il novero delle azioni di cui dispone il pubblico ministero contabile, al fine di assicurare una più efficace tutela ai crediti erariali.

Nasce da qui l’interrogativo se l’ampliamento di legge sia tale da comprendere l’esperibilità di azione esecutiva innanzi allo stesso giudice contabile, con ciò essendo stata sancita dal legislatore, nel contempo, una devoluzione di potestà giurisdizionale tra due giudici (quello civile dell’esecuzione e il giudice contabile).

Allo scopo di riflettere intorno al tema mi sembra sia indispensabile confrontarsi con un elemento che figura testualmente nel comma 174.

Vi è da chiedersi perché il legislatore abbia adoperato l’espressione tutela “delle ragioni” del creditore e non tutela “del credito” erariale?

Da dove potrebbe essere stata desunta siffatta, diversa locuzione?

 

2. - Un precedente storico similare, già verificatosi per il GA. Negli anni ‘80 - a seguito dell’intensificazione delle attività giudiziali dei T.A.R. (tramite i quali era stata, tra l’altro, realizzata l’articolazione territoriale di competenze prima intestate al Consiglio di Stato, proprio come nel 1994 è accaduto per la Corte dei conti) - emerse con forza, sia in dottrina che in giurisprudenza, il problema dell’esperibilità della tutela cautelare o interinale innanzi al giudice amministrativo.

La Corte costituzionale, con la notissima sentenza n. 190 del 1985, dichiarò l’incostituzionalità dell’art. 21 della legge istitutiva TAR (legge n. 1034 del 1971) ed affermò essere obbligatorio: …il rispetto il principio, per il quale la durata del processo non deve andare a danno dell’attore che ha ragione, di cui la dottrina non solo italiana fin dagli inizi del corrente secolo ha dimostrato la validità desumendola e al contempo confortandola con richiami di disposizioni normative e provocando l’inserzione nel codice di rito civile del ‘42 dell’art. 700.

La Corte costituzionale affermò anche, con parole non equivocabili, che: …Scrittori e giudici di merito (non escluso il Consiglio di Stato) non hanno esitato ad estendere la direttiva desumibile dall’art. 700 alla giurisdizione esclusiva dei T.A.R., ma, se il tentativo non ha riscosso l’assenso del giudice della nomofilachia quel che é precluso dal diritto vivente ben può e deve essere realizzato dalla Corte.

Dal 1985 in poi nessuno ha più dubitato del fatto che in sede di giudizio amministrativo, debba valere la felice intuizione chiovendiana : il processo, con le sue lungaggini, non può pregiudicare “le ragioni dell’attore” (le quali, qualora ci si trovi al cospetto di un diritto di credito, altro non sono che le ragioni del “creditore”).

Tanto è vero che la regola sancita dalla Corte costituzionale nel lontano 1985 successivamente ha trovato esplicita disciplina normativa, sempre per il giudizio amministrativo, nell’articolo 3 della legge n. 205/2000 (la stessa legge che, tra l’altro, ha disciplinato sia la tutela cautelare, sia la tutela di ottemperanza in materia pensionistica).

 

3. - La questione di giurisdizione : un concetto-base da cui muovere. È pacifico nella giurisprudenza civilistica, compresa quella della Corte di Cassazione (che, vale la pena ricordarlo, è anche giudice regolatore della giurisdizione), il fatto che l’esecuzione consiste nell’adeguamento della realtà al “decisum” di un giudice.

L’esecuzione (e derivatamente l’azione esecutiva) presuppone un giudicato formale oppure un’anticipazione temporale, ammessa per legge, degli effetti del giudicato medesimo (la provvisoria esecuzione).

Prima di tale momento non è neppure concepibile parlare di esecuzione, né di azione esecutiva.

Cassazione civile, Sez. II, 12 luglio 2000, n. 9236 (stralci): ….la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 6.2.1999 n. 10379)…ha affermato che l’anticipazione dell’efficacia della sentenza rispetto al suo passaggio in giudicato riguarda soltanto il momento della esecutività della, pronuncia, con la conseguenza, per la necessaria correlazione tra condanna ed esecuzione forzata, che la disciplina dell’esecuzione provvisoria ex art. 282 c.p.c. trova legittima attuazione solo con riferimento alla sentenza di condanna, poiché è l’unica che possa, per sua natura, costituire titolo esecutivo. Il concetto stesso di esecuzione postula, infatti, una esigenza di adeguamento della realtà al decisum, che, evidentemente, manca sia nelle pronunce di natura costitutiva che in quelle di accertamento.

…Fatta questa precisazione, per l’esecutorietà del “capo” della sentenza relativo alla condanna alle spese del giudizio, occorre risalire al regime di esecutorietà della sentenza che definisce il giudizio. Infatti per aversi esecutorietà della sentenza nella parte relativa alla condanna alle spese è necessario che la sentenza sul “capo” principale sia provvisoriamente esecutiva ai sensi dell’art. 282 c.p.c., oppure sia esecutiva per esplicita disposizione di legge (come ad esempio nell’ipotesi indicata dall’art. 431 dello stesso codice).

L’azione esecutiva, pertanto, è da intendersi quale azione destinata a realizzare, qualora non vi sia l’adempimento spontaneo del debitore, l’ottemperanza al giudicato e un adempimento coattivo o forzoso.

E’ lecito ora chiedersi se l’ottemperanza al giudicato - rientrante nella competenza generale dell’AGO, salvo specifiche, esplicite e diverse previsione di legge (es. ottemperanza ad un giudicato amministrativo, ottemperanza ad un giudicato pensionistico) - attraverso il comma 174 della legge 266/2005 possa dirsi essere stata devoluta, nel caso in cui si tratti di dover eseguire coattivamente una sentenza di condanna a pagamento di somma pecuniaria per responsabilità amministrativa, alla giurisdizione della Corte dei conti.

 

4. - Diversità funzionali tra azioni: revocatoria (o pauliana) ed esecutiva. Il Procuratore regionale della Corte dei conti agisce e opera in base a competenza funzionale e territoriale innanzi al giudice contabile di primo grado.

Egli, pertanto, può ottenere una sentenza di condanna costituente titolo esecutivo la cui esecutività, se interviene un appello, resta sospesa per legge.

D’altronde, se il Procuratore regionale intendesse agire in esecuzione innanzi la Corte dei conti e non innanzi all’AGO, ritenendo verificatasi una devoluzione di giurisdizione per interpositio legislatoris, non potrebbe che farlo rivolgendosi al giudice contabile di primo grado, cioè allo stesso giudice che ha emesso il titolo esecutivo (la sentenza).

Nel frattempo – a seguito dell’appello – giudice della cognizione sul diritto sostanziale di credito è certamente diventato il giudice contabile di secondo grado.

Si porrebbe, pertanto, un problema di rapporto tra i due giudici - quello della esecuzione e quello della cognizione - da risolvere secondo le regole della procedura civile: il che dovrebbe coinvolgerebbe, ad esempio in caso di contestazioni sulla sospensione dell’un giudizio rispetto all’altro, la competenza terza di un giudice superiore (nel rito civile è la Corte di Cassazione che regola i rapporti di competenza tra i due giudici, quello della esecuzione e quello della cognizione).

In realtà, il comma 174 ha attribuito al Pubblico Ministero contabile agente nel primo grado di giudizio non le azioni rivolte alla tutela del credito recato dal titolo giudiziale esecutivo, ma le azioni rivolte alla tutela delle ragioni del creditore.

Si tratta della tutela cautelare in senso lato (tipica o atipica), fondata su garanzie costituzionali e che mira a conservare integre le ragioni o aspettative del creditore-attore, allo scopo di evitare che la durata del processo di cognizione possa pregiudicarle irrimediabilmente e ridondare a suo danno.

È una tipologia di tutela per così dire “in proiezione”, cioè che prescinde dal già avvenuto accertamento cognitivo del diritto di credito con efficacia di giudicato, tanto che, per fare un solo esempio, non sussiste un problema di pregiudizialità logico-giuridica (e quindi di sospensione da disporre ex art. 295 c.p.c.) tra il normale giudizio di cognizione sul diritto di credito e il giudizio avente ad oggetto la revocatoria pauliana.

Cass. civ. Sez. III, n. 14625 del 2004 (a proposito di natura cautelare della revocatoria): … dal chiaro contenuto degli artt 2901 e 2902 c.c. e 602 e segg. c.p.c. si evince palesemente: - A) che l’azione revocatoria ha finalità cautelare e conservativa del diritto di credito e consiste nel potere attribuito al creditore di far dichiarare inefficaci nei suoi confronti determinati atti di disposizione sul patrimonio del debitore, che rechino pregiudizio alle sue ragioni, nel senso che il bene non torna nel patrimonio del debitore, conservando l’atto la sua validità, ma resta soggetto all’aggressione del solo creditore istante nella misura necessaria a soddisfare le sue ragioni (cfr. in tal senso Cass. n. 01804 del 18/02/2000 e Cass. n. 08419 del 21/06/2000); - B) che detta azione è completamente priva di fini ed effetti restitutori in quanto l’atto di disposizione revocato conserva la sua validità (erga omnes) e la sua efficacia traslativa o costitutiva del diritto in capo all’acquirente; - C) che quindi l’“...inefficacia....” dell’atto revocato (nei confronti del creditore che esperisce l’azione revocatoria) di cui parla il legislatore nell’art. 2091 cit. va intesa solo ed esclusivamente nel senso che il vittorioso esperimento dell’azione evita che il bene in questione venga sottratto all’aggressione esecutiva del creditore attore; trattasi quindi di inefficacia estremamente limitata (oltre che relativa in quanto giova solo al creditore od ai creditori che hanno esercitato l’azione).

Cass. SS.UU. n. 9440 del 2004 (a proposito di revocatoria riferita a crediti “eventuali” o “litigiosi”): ….l’azione revocatoria può essere proposta (come riconosce una consistente giurisprudenza, della quale si darà conto più avanti) anche a tutela di crediti eventuali, o anche di semplici ragioni di credito, anche se oggetto di contestazione in giudizio, delle quali non è necessario il preventivo accertamento giudiziale.

….In particolare…va rilevato che anche il fatto illecito è fonte di obbligazioni (art. 1173 c.c.) e qualora l’illecito sia posto a fondamento di una domanda giudiziale di risarcimento non può negarsi che la fattispecie costituita dalla deduzione in giudizio di un fatto illecito per conseguire il risarcimento del danno sia suscettiva di evolversi potenzialmente secondo previsione normativa, dovendo il giudice pronunciarsi sulla domanda, fino al riconoscimento di un credito a titolo di risarcimento che, in pendenza del giudizio, in quanto “credito litigioso”, è credito eventuale, o, in altri termini, ragione o aspettativa di credito; ragione o aspettativa che potrà o meno concretizzarsi a seconda dell’esito della lite, così determinandosi l’insorgere di una situazione non dissimile, se non nella fattispecie che ne determina l’insorgenza, da quella dei crediti eventuali (del fideiussore per il regresso e del garantito verso il fideiussore)….

In conclusione, ritornando alla questione oggetto del conflitto, componendo il contrasto, va accolta la tesi che nega la necessità della sospensione, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., del processo nel quale sia proposta l’azione revocatoria di cui all’art. 2901 c.c. in attesa della definizione del distinto giudizio avente ad oggetto l’accertamento del credito per la cui conservazione è stata proposta le domanda revocatoria.

A siffatta tutela, intesa in senso latamente cautelare, possono perciò essere ascritte le azioni revocatoria e surrogatoria, che sono azioni di cognizione, in senso pieno e sostanziale.

Nella stessa area di tutela, invece, non sembra potersi iscrivere l’azione di esecuzione del giudicato, che assolve ad una funzione diversa, di tutela cosiddetta “conformativa”, fondata su altro principio costituzionale : il principio della effettività della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dei cittadini, correlato alla garanzia di cui all’art. 24 della Costituzione.

Corte costituzionale, sent. n. 435 del 1995 (a proposito di esecuzione del decisum): … il contenuto tipico della pronuncia giurisdizionale è proprio quello di esprimere la volontà concreta della legge o, più esattamente, la “normativa per il caso concreto” (come si è felicemente precisato in dottrina) che deve essere attuata nella vicenda sottoposta a giudizio.

…proprio in base al già ricordato principio di effettività della tutela deve ritenersi connotato intrinseco della stessa funzione giurisdizionale, nonché dell’imprescindibile esigenza di credibilità collegata al suo esercizio, il potere di imporre, anche coattivamente in caso di necessità, il rispetto della statuizione contenuta nel giudicato e, quindi, in definitiva, il rispetto della legge stessa. Una decisione di giustizia che non possa essere portata ad effettiva esecuzione (eccettuati i casi di impossibilità dell’esecuzione in forma specifica) altro non sarebbe che un’inutile enunciazione di principi, con conseguente violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione, i quali garantiscono il soddisfacimento effettivo dei diritti e degli interessi accertati in giudizio nei confronti di qualsiasi soggetto.

È anche necessario ricordare che il Pubblico Ministero contabile già si vede attualmente intestate dalla legge due importanti facoltà:

sequestro conservativo ante causam

richiesta di provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado impugnata in appello

La prima facoltà (a) rientra nella tutela cautelare in senso lato, perché precede l’esistenza di un titolo esecutivo e serve a tutelare le ragioni di credito, in attesa che il processo di cognizione ne accerti l’effettiva esistenza.

La seconda facoltà (b), invece, investe appieno l’area della esecuzione o espropriazione forzata.

Orbene, quanto alla seconda facoltà (b), nessuna giurisprudenza ha mai dubitato del fatto che - una volta che l’attore abbia ottenuto la declaratoria di “provvisoria esecuzione” della sentenza - la successiva praticabilità dell’azione esecutiva vada ad operare nel perimetro di una forma di tutela (la tutela conformativa al giudicato) nettamente distinta per presupposti, condizioni dell’azione, rito applicabile e competenza del giudice.

In conclusione, a mio avviso il comma 174 della legge n. 266/2005 non sembra aver determinato, in tema di esecuzione, alcun trasferimento di potestà giurisdizionali verso il giudice contabile.